Sara’ capitato a tutti voi di leggere un libro consigliato con veemenza da qualcuno e rimanere delusi a causa delle altissime aspettative che questo ha creato in voi; per questo, nel consigliarvi Norwegian Wood – Tokyo Blues di Haruki Murakami rimarco il fatto che l’impatto emotivo che il romanzo ha avuto su di me potrebbe non essere altrettanto profondo su di voi: io lessi il libro in un momento particolare e spinto da una persona particolare.

Il risultato di tutto questo si puo’ riassumere in termini matematici – forse aridi ma estremamente espliciti – dicendo che senza di esso la mia vita non convergerebbe.

Chiarito questo, ritengo si tratti di un libro che non puo’ lasciare indifferenti.

La storia e’ ambientata nella Tokyo del 1968, durante il movimento studentesco di protesta; esso tuttavia fa solo da sfondo ad un affresco che non ritrae ne’ temi politici ne’ sociali ma bensi’ la sofferenza della transizione dall’adolescenza all’eta’ adulta, il delicato equilibrio tra amicizia ed amore tra uomini e donne e l’indissolubile legame fra la vita e la morte.

Sullo sfondo di un Giappone in fermento e con lo sguardo teso ad occidente, la vita di Toru Watanabe, giovane studente universitario, si intreccia con quella di altri personaggi che delicatamente prendono corpo e colore e portano fatalmente il lettore ad immedesimarsi in loro; inevitabile sentirsi toccati da vicino mentre si assiste ai loro conflitti, ai loro tentativi di mediazione tra la necessita’ di entrare a far parte della vita adulta e il proprio bisogno di essere solo se stessi.

Toru vive un continuo conflitto interno, diviso tra il timore di compiere scelte di vita sbagliate e la necessita’ di ascoltare il proprio senso morale prima di quello imposto dalle convenzioni sociali; altrettanto conflittuale e’ la sua vita sentimentale, dibattuto tra l’amore antico per Naoko, malinconica ed al di fuori del mondo, e quello nuovo per la brillante ed ottimista Midori.

Toru – e con lui i personaggi che lo circondano – imparano a proprie spese che cosa implica essere autori delle proprie scelte e cosa, viceversa, significhi restare in attesa che a decidere siano la vita – o la morte, che ne e’ un aspetto.

Su tutte le vicende che Toru attraversa aleggia un continuo, ininterrotto sottofondo musicale, basato sui brani pop dell’epoca. I Beatles, fatalmente, sono in particolare evidenza e il loro brano Norwegian Wood da’ il titolo al romanzo.

Un’ultima curiosita’: nella sua prima edizione il titolo del romanzo (Noruwei no mori, che e’ la traduzione in Giapponese di Norwegian Wood) fu maldestramente reso con Tokyo Blues; di qui il doppio titolo.

Buona lettura.

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2 Commenti a “Norwegian Wood”


1
Il 8 dicembre 2007 alle 20:42, michela ha scritto:

Perch? l’atto di togliersi la vita ? cos? presente nella letteratura giapponese che arriva a noi? E sempre come gesto accettato come possibile legittima scelta di un individuo. Quando ho letto questo libro non la pensavo come adesso: ora lo vedo comunque come una scelta terribile senza ritorno e fonte di pena tremenda per i propri cari. Insomma sono pi? vicina alla idea cristiana del suicidio.
E poi, ma quanto sar? buona la cucina giapponese! fatta di rituali, di attrezzi particolari, di ricette da seguire alla perfezione (mica come me, che brucio sempre i biscotti). Gnam gnam.
Eh in questo libro io ho letto dell’Amore, che alle volte va ucciso dentro di s? per poter continuare a vivere. E’ proprio quello che fa il protagonista, in modo molto elegante, con contorno di alberi in fiore (uno si immagina una tipica stampa giapponese), e tutte cose. Per? invece questa cosa non ? solo asiatica, ? proprio universale. C?pita.


2
Il 9 dicembre 2007 alle 12:10, Grigiofumo ha scritto:

Perch? l?atto di togliersi la vita ? cos? presente nella letteratura giapponese
[..]
Insomma sono pi? vicina alla idea cristiana del suicidio

A me l’idea cristiana del suicidio non piace; detesto questo principio in base al quale solo Dio da, e solo Dio prende. Se davvero Dio mi ha dato la vita, allora deve essere mia facolta’ disporne come meglio credo.
Pero’, per quanto l’atteggiamento giapponese mi risulti piu’ comprensibile di quello cristiano, la mia parte combattiva mi porta a scartarlo.
Credo che qualsiasi cosa la vita ci propini, sia sempre e comunque necessario proseguire, bere il calice fino in fondo con determinazione e con tenacia per poterlo riempire ancora; e dopo il fiele, persino l’acqua sembrera’ dolcissima.

in questo libro io ho letto dell?Amore, che alle volte va ucciso dentro di s? per poter continuare a vivere

Il mio cuore non batte solo per me, e non sente ragioni; il solo modo per farlo smettere sarebbe fermarlo… ma col cuore fermo non ci sarebbe piu’ vita.

Ciao Michela, e grazie.
Un abbraccio,
Fulvio

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