Non sono mai stato un buon studente; nulla di strano, quindi, se quando avevo circa sedici anni ogni scusa per saltare lezione ed andare a perdere una giornata a passeggiare per strada era buona.
Per questo sono assolutamente certo che se fossi ancora al liceo in questi giorni starei allegramente saltando intere settimane di lezione, intento a protestare contro il ministro della pubblica istruzione e la
sua riforma.
 
E diciamocelo, mi starei anche divertendo un sacco, perche’ il bersaglio è fin troppo facile.
 

Pero’, esattamente che dice la riforma?
 

Nell’ambito degli obiettivi di contenimento di cui all’articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei regolamenti di cui al relativo comma 4 è ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola.

 
Tradotto in italiano spicciolo, significa “Ok, ragazzi. Vi diamo meno grano, quindi fatevi bastare un insegnante per classe. Se siete capaci di organizzarvi, e se nella zona girano abbastanza sesterzi, siete liberi di allestirvi dei progetti vostri. Ma non ve li paghiamo.
 
C’e’ chi in tutto questo ci vede la fine del mondo. Io ci vedo solo l’ennesima non-riforma, che mira a fare un po’ di cassa tagliando qualche ramo secco ma non interviene minimamente sul rampicante parassita che l’albero lo sta lentamente strangolando.
 
Un parassita rappresentato da tutti quegli insegnanti che prendono l’abilitazione all’insegnamento come “piano B”, solo per assicurarsi uno stipendio dopo essersi resi conto che la laurea in filosofia o lettere non e’ poi cosi’ semplice da spendere sul mondo del lavoro e senza avere la minima idea di come diavolo si faccia, ad insegnare.
 
Un parassita rappresentato dai vari baronati universitari, quelli che direzionano i fondi in base ad interessi assolutamente personali e che ora sostengono la protesta ben lieti che ci sia qualcuno ad aiutarli nel difendere il posto di quelle diverse migliaia di precari sulla schiena dei quali sono abituati a sbattere tutto il lavoro.
 
Ma se qualcuno iniziasse a chiedere di farla per davvero, la riforma, tirando giu’ dagli scranni dorati quei baroni che distribuiscono precariato da 800 euro al mese, chiedendo qualche contratto a progetto in meno, qualche strumento didattico in piu’ e nomine meritocratiche anziche’ basate su raccomandazioni, probabilmente gli studenti in piazza riceverebbero meno applausi e piu’ manganellate.
 
E allora becchiamoci la non-riforma. Chissa’ che alla fine non serva a qualcosa.

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